Presidente Conte, bisogna ripartire adesso per ricostruire il futuro

Premier Conte

“Prima la salute, poi l’economia”. Questo detto, caro a Giuseppe Conte e al suo sodale Rocco Casalino, è falso e rischia di portarci alla rovina. Presidente, “semmai un’economia a misura d’uomo”.

Questo titolo è tale da provocare reazioni emotive tipo “andateci voi a lavorare” o simili, ma sarebbero ingiustificate, sia perché in molti non vedono l’ora di uscire per essere operativi, sia perché non si intende affatto banalizzare il problema della ripartenza delle aziende, degli autonomi e, quindi, dell’economia. A banalizzare il problema infatti ci pensa, e ci riesce, già benissimo il Governo da solo comportandosi sin dall’inizio come se le aziende si potessero aprire o chiudere girando una maniglia, o accendere e spegnere col click di un interruttore, mentre chiunque abbia gestito un’attività, dalla più complessa alla ditta individuale, sa benissimo che le cose non sono affatto così semplici.

E lo sanno benissimo tutti gli imprenditori, grandi, piccoli e microscopici, che in questi giorni stanno sperimentando il fermo forzato delle loro attività, senza vedere affatto, nemmeno nelle forme degli aiuti statali, che giustamente reclamano, il rallentamento, se non il corrispondente blocco, dei costi fissi, delle utenze, delle cartelle esattoriali e dell’attività amministrativa, fiscale e contributiva. Bisogna agire! E agire tenendo conto della variabile tempo, più ci si impiega, più alti saranno i costi economici, sociali e del debito pubblico. Abbiamo già avuto modo di portarvi a conoscenza delle bizzarre teorie economiche del premier Conte, secondo cui il fermo delle attività economiche sarebbe “una misura conveniente dal punto di vista economico, perché è chiaro che confidiamo che da questa sospensione così disposta delle attività economiche, soprattutto quelle non essenziali ne possa derivare una fuoriuscita dal quadro dell’emergenza quanto più rapido possibile, e quindi una piena ripresa di tutte le attività”.

Una sciocchezza tale che non farebbe saltare l’esame di economia ad uno studente universitario, dato che nemmeno arriverebbe ad esporla, ma un’interrogazione ad uno studente di ragioneria del primo anno. La cosa che però allarma più di tutte è che nulla si stia facendo per avviarla questa ripresa. E questa inerzia è figlia di un gruppo dirigente che pensa che a tutto debba pensare lo Stato, che i soldi si possano stampare a piacere, che potremmo tutti vivere di sussidi, di redditi di cittadinanza universali o altre formule ingannevoli che, come sempre, non dicono da dove provengano quei soldi. E quei soldi provengono dalle tasse pagate dal sistema produttivo, dai privati, dai piccoli imprenditori.

C’è un altro concetto ingannevole, pericolosissimo, che si è insinuato nelle menti di tutti, perché ripetuto all’infinito in queste settimane, che recita così: “prima la salute, poi l’economia”! Questo detto, caro al nostro presidente del Consiglio e al suo sodale Casalino, è falso. Falso. E rischia di portarci alla rovina. Semmai un’economia a misura d’uomo! Perché non c’è salute senza una buona economia. Non c’è perché non c’è una buona sanità, senza la ricchezza. Non c’è abbastanza energia, non ci sono catene del freddo corrette per gli alimenti, non funzionano le incubatrici, i trasporti pubblici, la depurazione dell’acqua, la gestione dei rifiuti con conseguenze che basterebbe ritornare con la mente al colera degli anni settanta per capire. Chiediamolo ai greci se c’è salute senza un’economia, non dico prospera, ma almeno funzionante.

Chiediamolo agli anziani che hanno visto, in questi ultimi anni di crisi, ridurre la loro aspettativa di vita e ai genitori che hanno visto aumentare la mortalità infantile. La contrapposizione fra questi due elementi, fra salute e economia è il più grosso inganno comunicativo perpetrato ai danni degli italiani. Un inganno fatto per nascondere le incapacità gestionali dell’attuale classe dirigente. Un inganno ben orchestrato e coordinato con l’alibi: quello secondo il quale l’Europa ci dovrebbe salvare gratis e, se falliremo, sarà tutta colpa loro, concetto che prepara un’altra o più catastrofi oltre a quella economica, senz’altro quella democratica, ma anche un isolamento diplomatico senza precedenti nei confronti dei nostri storici alleati. Qui ci vogliamo concentrare sulla ripartenza del sistema produttivo, sul fatto che, se è vero che non sarà possibile ripartire domani con un click, vorremmo almeno veder porre in essere una serie di attività che allo stato attuale non ci sono neppure all’orizzonte.

“Vedremo…”, diceva il presidente Conte nel suo ultimo slavato show di sabato, e in quella espressione era chiaro il vuoto totale di contenuti. Far ripartire il sistema è un’attività complessa, interdisciplinare, che costringerà a mettere assieme e coordinare competenze che vanno dalla logistica, all’organizzazione aziendale, la sanità, oltre alle parti sociali sia sindacali che datoriali, in modo coordinato e, preferibilmente, orientate tutte allo stesso risultato, senza cercare formule negoziali che approfittino della situazione critica. Si tratta di attività di governo vere e proprie che infatti, in quanto tali, non vengono nemmeno attivate forse per incompetenza, certamente in quanto non incluse nel format del Grande Fratello. Al momento non sembrano essere nemmeno contemplate e questo fa pensare male: fa pensare cioè che, come sempre, i privati saranno lasciati soli a risolvere questi problemi, con i costi correlati totalmente a loro carico, col Governo, ancora una volta, impegnato solo a porre divieti, formulare nuove burocrazie, invece di snellirle, moduli, certificazioni, bolli, in un crescendo di formalità che contribuirà, in pieno stile italiano, a rendere ancora meno competitivo il nostro sistema industriale e più bassa la nostra produttività.

Se accadrà questo, lo diciamo in anticipo, la colpa sarà sicuramente dei cattivi tedeschi e dei Paesi del nord Europa! Se invece si attiverà un processo virtuoso – e invitiamo l’Italia (non necessariamente questo Governo) a porsi da subito alla testa di questa attività – allora forse potremmo veder realizzare un sistema veramente europeo, fatto di protocolli comuni che consentano di creare standard europei per la sicurezza dei lavoratori sui luoghi di produzione, anche in caso di epidemie come quella attuale. Questi standard dovranno consentire la prosecuzione delle attività a livello almeno europeo, non solo per quanto riguarda la fase della produzione, ma anche quella della distribuzione, con riferimento non solo al movimento delle merci, ma anche delle persone. Protocolli che assicurino anche una lettura comune del fenomeno, con rilevazioni e metodi statistici condivisi e risultati confrontabili, nella coscienza del fatto che un focolaio che parta, ad esempio in un Paesino vicino a Vigo, o nella periferia di Cracovia, o nei monti attorno a Siena, è un evento che ci riguarda tutti, a livello europeo e oltre.

Non è necessario creare tutto questo per ripartire, si può fare anche con meno e si deve fare in tempi ragionevolmente brevi, ma è necessario questo per costruire il futuro e per costruire l’Europa, sempre che lo si voglia fare, piuttosto che inseguire Coronavirus o Bond o modifiche in corsa di trattati internazionali e di contratti come il Mes, mentre la Bce ha messo a disposizione il Pepp, (Pandemic Emergency Purchase Programme), che i nostri governanti nemmeno prendono in considerazione, considerando vantaggioso assumere posizioni polemiche mentre la nostra nave affonda. Sono attività di costruzione del futuro, tecniche e creative, di immaginazione, di sostanza, poco comunicative e poco spettacolari, nelle quali non trovano posto meteore del piccolo schermo e narcisisti, ma persone preparate e competenti che hanno a cuore lo Stato e la nazione, il futuro dei figli. Persone che vogliano far funzionare i sistemi, non porre continui ostacoli e divieti, cosa sulla quale i nostri governanti si sono mostrati particolarmente e unicamente attivi.

Non si costruisce nulla affastellando divieti su divieti, senza pensare al funzionamento di un sistema complesso, presidente Conte, e noi ci auguriamo che queste esperienze glielo insegnino, sempre che i suoi scopi non siano altri. Si ponga una semplice domanda, presidente Conte: se l’anno prossimo, e non fra dieci anni, dovesse arrivare un altro virus, quale sarebbe, se ancora al comando, il suo programma? Il suicidio degli italiani? Nel dubbio e nel frattempo, non avendo ancora ricevuto risposta, le rinnoviamo le nostre domande:

1) Avendo emanato la “Delibera del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020”, con la quale ha ”dichiarato, per 6 mesi dalla data del presente provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, ritiene che le azioni da Lei messe in campo nelle settimane successive siano state sufficienti, o almeno funzionali al contenimento di questa emergenza internazionale o non ha per caso deliberato come atto dovuto, sottovalutando il fenomeno stesso?

2) Perché, data l’emergenza, il fatto che i primi focolai di contagio fossero estremamente localizzati e che da più parti (nel settore medico) si stesse avvisando il Governo sulla crisi cui sarebbero inevitabilmente andate incontro le strutture sanitarie in assenza di un intervento immediato, non ha predisposto risorse e mezzi, concentrandoli sui focolai, consentendo di effettuare il massimo sforzo per cercare di circoscrivere il fenomeno in modo da renderlo gestibile e, al contempo tenere aperte la attività produttive nelle altre regioni italiane?

3) Perché, relativamente al tema ella disponibilità di mascherine, altri dispositivi di protezione individuale, ventilatori per gli ospedali, non ha proceduto all’utilizzo di strumenti persuasivi o coercitivi nei confronti di aziende produttrici, in modo che questi dispositivi e strumenti fossero messi a disposizione in tempi brevi e utili alla gestione della crisi e ha invece usato lo strumento delle gare Consip, generando ulteriori ritardi di tipo burocratico?

4) Perché non ha chiesto immediatamente alle Forze Armate di allestire in tempi brevissimi e con criteri di potenziale mobilità delle strutture, ospedali da campo per questa necessità, quando ogni italiano sa che il nostro Esercito è perfettamente in grado di operare in tal senso, visto che lo fa ordinariamente in veste di forza di pace in zone di guerra?

5) Perché non ha reso immediatamente disponibili in conto corrente risorse monetarie ai cittadini e alle imprese, sulla base di criteri semplici e facilmente verificabili posteriormente in caso di abusi, ma ha scelto procedure burocratiche tortuose, inevitabilmente destinate a generare ulteriori ritardi, sofferenze e rinunce a riaprire attività produttive alla fine di questo percorso?

6) Perché, dato l’impegno da parte della Bce, di acquistare titoli del debito italiano fino ad un importo di 220 miliardi, non ha intanto iniziato ad attingere da questa fonte, peraltro calmierata quanto ad interessi, voce enorme del nostro debito pubblico, per alleviare la situazione economica italiana, ingaggiando un duello polemico tanto sterile, quanto burocraticamente complesso e certamente lungo nei tempi, con altre istituzioni europee su fantomatici Coronabond?

7) È vero che superando la Sua vera, o presunta, iniziale ritrosia, sta fondando un proprio partito o movimento politico con cui candidarsi direttamente o sta mettendo a capo di uno già esistente?

Informazioni su Alessandro Cicero 89 Articoli
Alessandro Cicero è nato in Africa settentrionale, da genitori italiani di origine siciliana, si è trasferito da piccolo nella città di Salerno, oggi vive a Roma.

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