Le istituzioni dimostrino agli italiani che non è vero che tanto non cambierà mai nulla, bandendo una volta per tutte questa odiosa idea che non si faccia nulla per un cambiamento
Nei precedenti articoli abbiamo raccontato alcune vicende sull’azienda Sogin (Società gestione impianti nucleari), controllata al 100 % dal ministero dell’Economia e Finanze. Abbiamo portato all’attenzione dell’opinione pubblica, e non solo, quanto sembrerebbe emergere da alcune carte pubbliche su dei contratti/incarichi slovacchi. Abbiamo posto delle legittime domande, chiedendo alla stessa azienda di poter intervistare l’amministratore delegato, Emanuele Fontani, ma il nostro invito è stato declinato. L’intervista sarebbe andata in onda anche in streaming, quindi in diretta, senza possibilità di essere manipolata o altro, nell’interesse degli italiani.
La risposta della Sogin
Questo per dare la possibilità al vertice aziendale di esporre il proprio punto di vista e poter cercare di chiarire la vicenda. L’email di riposta, seppur cortese, è stata: “La fase di consultazione pubblica, attualmente in corso, per la localizzazione del sito dove realizzare il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi, ci ha fatto ritenere opportuno comunicare con i media attraverso comunicati ufficiali o, eventualmente, conferenze stampa. Ci auguriamo di poter prossimamente – in condizioni mutate – avere ancora la vostra disponibilità”. Condizione mutate di cosa? Mah! Si è sempre detto che il Belpaese fosse composto da un popolo di santi, poeti e navigatori, ma a quanto pare anche di apparenti sordi e ciechi.
La lettera all’agenzia stampa
Naturalmente speriamo che i fatti riguardanti l’operato sui quei contratti in Sogin e Nucleco (controllata al 60% dalla Sogin e al 40% dall’Enea), in un prossimo futuro ci facciano cambiar sensazione su queste presunte sindromi. In Italia, per talune persone, sembrerebbe più opportuno fare in modo che non vi sia più la possibilità di porre delle questioni. Se le poni si potrebbe essere tacciati di farne una narrazione errata e/o carente, come l’avvocato Antonio Simonelli scrive in una lettera, nell’interesse di Piersante Morandini, all’agenzia stampa Agenparl. Ma se così fosse, sarebbe bastato far notare dove ricadrebbe questa inesattezza. Con molto piacere, anche noi, avremmo dato spazio a queste precisazioni.
La consueta cattiva abitudine
Quindi per non incappare in un ulteriore carenza, come citato nella missiva, evidenziamo la circostanza che leggendo alcuni dati, riguardanti una delle società che avrebbero ricevuto degli incarichi, più precisamente la SMA advokátska kancelária sro (ex M&A Morandini e Associati advokátska kancelária sro) emergerebbe tra i componenti, forse trattasi di un’omonimia, il nome di tale Antonio Simonelli. Quando viene data una notizia, tra l’altro, comparsa dapprima anche su altri giornali, maggiormente approfondita poi, con dati alla mano, da altri, si incorre purtroppo nella sempre più consueta cattiva abitudine, tutta nostrana, di cercare di mettere un bavaglio a chi la scrive. Il cliché è sempre lo stesso.
Gli inviti a non proseguire
Qualcuno che ti esorta a non approfondire, perché in fondo chi te lo fa fare, qualcun altro che fa intendere che sarebbe una brutta storia, meglio lasciar perdere. Qualcun altro ancora che ti fa capire che tanto sarebbe tutto inutile, perché le cose non cambierebbero mai. Infine, ci sarebbe sempre quel tale che ti potrebbe querelare. Ogni anno vengono presentate più di 9.000 querele per presunta diffamazione a mezzo stampa e quasi il 90% risulta non fondato, perché la notizia risulta fondata e di interesse pubblico. Bene, noi siamo dell’avviso che quando accade tutto ciò, valga sempre la pena di andare avanti, non farsi intimorire e valga, in merito, quello che diceva Roberto Gervaso: “Il buon giornalista racconta quel che vede; il cattivo, quello che vogliono vedere gli altri”.
Come fece Beppe Grillo
Noi abbiamo scritto quello che riportavano le carte e non quello che altri avrebbero voluto che non fosse né visto, né scritto. Anche perché erano lì, sotto gli occhi di tutti e che, oltretutto, in molti, sapevano in Sogin, bastava metterle insieme. Non abbiamo fatto altro che fare ciò che fece Beppe Grillo, in quel caso con le carte della Parmalat, le abbiamo portate alla luce. Solo che questa volta, diversamente dall’epoca, lo ha fatto la stampa e non Grillo, tutto qui. Quindi si mettano pur l’anima in pace quei lor signori, noi non indietreggiamo nemmeno di un millimetro sul porre delle domande, abbiamo seguito quello che i dati illustravano. La cosa che ci sorprende è come si sia cercato in modo subdolo, in alcuni casi direttamente e in altri casi indirettamente, di far calare il silenzio sul caso Sogin.
Le domande che continuano a sorgere
Eccezion fatta per alcuni senatori che hanno posto un’interrogazione parlamentare ad alcuni ministeri (Economia e Finanze, Sviluppo Economico, Transizione Economica) per cercare delle risposte. Le stesse che dovrebbe aver cercato il Cda dell’azienda, procedendo ad una reale e seria verifica dei fatti. Se ciò non fosse accaduto, perché mai tanta reticenza? Certo sarebbe quanto meno singolare, se la scelta posta in campo dall’azienda fosse stata di istituire una sorta di tavolo tecnico interno per il caso specifico. Se fosse stata preferita questa strada, si commenterebbe da sé. Di fatto, non parrebbe essere proprio la stessa cosa dell’avviare un audit esterno. Qualche altra domanda sorgerebbe spontanea. Perché, questa questione, sembrerebbe assumere, sempre più, le sembianze di un qualcosa da scongiurare e continuerebbe a far nutrire tanto timore?
In attesa che i ministeri facciano qualcosa
Eppure la Sogin, essendo dello Stato, sarebbe un’azienda di interesse pubblico, se non altro per i soldi che riceve dagli italiani. Quindi ci si aspetterebbe che i ministeri di competenza prendessero in pugno la situazione e si ponessero il problema una volta per tutte. Il tutto, ad oggi, farebbe presumere, agli occhi dell’opinione pubblica, che non vi sarebbe alcuna seria volontà di affrontare la questione, almeno da parte dell’azienda. Nonostante ciò, il nostro essere ostinatamente fiduciosi ci porta, per indole, a pensare che non sia proprio così da parte delle istituzioni. Continuiamo fermamente a nutrire una profonda fede in esse. Testardamente consideriamo che lo Stato ci sia, guai a perdere questa certezza, anche quando le circostanze parrebbero essere altre.
L’eventuale tavolo tecnico interno all’azienda
Lo Stato è fatto di uomini e donne, alcuni più in ombra di altri, meno sotto i riflettori, ma non per questo immobili e ligi ad esso. Certo è, a chiunque verrebbe il ragionevole dubbio, che qualcosa di strano sembrerebbe essere accaduto in Sogin. Questo non lo si scrive nella logica di chi vorrebbe sostenere la tesi di essere gli unici custodi della verità, ma nella constatazione dei fatti. Infatti, finora, questi non sarebbero stati, con una procedura autorevole, smentiti finanche con delle dichiarazioni circostanziate per dimostrare il contrario. Ecco perché si avanza l’ipotesi che un eventuale tavolo tecnico, interno all’azienda, lascia il tempo che trova. Il tutto non dimostrerebbe affatto l’imparzialità dell’operato, anzi il contrario. Eppure gli italiani avrebbero pure il sacrosanto diritto di conoscere la realtà delle cose.
L’odiosa idea da bandire
Per tale motivo si confida nelle istituzioni e nell’operato dei parlamentari, in modo trasversale, che insistano su questa vicenda, essere ancor più numerosi nel chiedere delle spiegazioni. Tutto questo servirebbe molto, a noi tutti italiani, a bandire una volta per tutte quell’odiosa idea, che tanto non cambierà niente e dimostrare che non si è annoverabili tra tutte quelle persone che non hanno fatto mai nulla per cambiare.
Pubblicato su: Eurocomunicazione
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